Adeguamento e miglioramento sismico di edifici esistenti in c.a.: analisi di alcune tecniche di intervento
Una panoramica delle principali strategie di intervento includendo le strategie più diffuse e alcuni interventi innovativi e che si sono dimostrati particolarmente efficaci per l’adeguamento e miglioramento di edifici in cemento armato (c.a.).
Il rischio sismico in Italia
Rischio sismico: di cosa si tratta? Come viene misurato e cosa possiamo fare per ridurlo?
Pochi tra i non addetti ai lavori sanno che quando si parla di rischio, sia esso sismico, vulcanico, idrogeologico, ecc., si intende un valore concreto e calcolabile. Esso, in particolare, è definito come il prodotto di tre fattori: la pericolosità, la vulnerabilità e l’esposizione.
Rischio = Pericolosità × Vulnerabilità × Esposizione
Figura 1 – Rischio Sismico.
Nell’ambito dell’ingegneria sismica la pericolosità, è rappresentata dalla frequenza e dalla ‘forza’ dei terremoti che interessano un territorio. La pericolosità è legata alla sismicità del sito e viene definita come la probabilità che si verifichi, in una data area ed in un certo intervallo di tempo, un terremoto che superi una fissata soglia di intensità. La classificazione della pericolosità sismica del territorio si basa su valutazioni statistiche dei dati registrati e l’attuale normativa definisce la pericolosità sismica di un sito e di conseguenza, le azioni sismiche di progetto, suddividendo il territorio nazionale mediante una maglia di punti notevoli ad ognuno dei quali è possibile associare un’intensità.
La vulnerabilità diversamente può essere descritta come la propensione di cose e persone a subire un danno di un determinato livello, a fronte di un evento sismico di una data intensità. Un fabbricato antisismico ha una vulnerabilità ridotta, dal momento che la propensione al danneggiamento di tale edificio è bassa; se l’edificio invece, è costruito non rispettando le regole di progettazione antisismica, con materiali scadenti, su terreni instabili, con una scarsa qualità di realizzazione, ecc la vulnerabilità sale pericolosamente.
Il terzo parametro di interesse è l’esposizione che indica il numero di persone o beni esposti al fenomeno definendo il valore, in termini di vite umane, di beni culturali e/o artistici, di beni mobili e/o immobili, ecc sottoposti al rischio. Sebbene sia impossibile assegnare un valore alla vita umana è necessario definire dei criteri per proteggere questo valore. Semplificando con un esempio, una scuola ha un’esposizione molto maggiore di un fienile e un ospedale ha un valore, anche in termini strategici nell’immediato successivo al sisma, maggiore rispetto ad un’abitazione.
Il rischio sismico è definito sulla base dei parametri appena descritti – pericolosità, vulnerabilità ed esposizione – e può essere definito come la misura dei danni attesi in un dato intervallo di tempo, in base al livello di sismicità del sito, alla resistenza delle costruzioni e alla natura, qualità e quantità dei beni esposti. Complessivamente l’Italia è un Paese con un elevato rischio sismico a causa di una pericolosità sismica medio-alta, di una vulnerabilità molto elevata e un’esposizione altissima.
Se confrontata con il resto del mondo, la sismicità del territorio italiano non è tra le maggiori e può infatti considerarsi medio-alta nel contesto mediterraneo e addirittura modesta rispetto ad altre zone del pianeta. Ogni anno i sismografi registrano migliaia di terremoti nel nostro territorio, ma di fatto, tra di essi solo un centinaio sono di magnitudo percepibile dalla popolazione del territorio interessato. I fenomeni più gravi a carattere distruttivo, si ripetono, a livello nazionale, con una cadenza in media di circa uno ogni 5 anni e negli ultimi 150 anni è possibile identificare circa 30 terremoti di carattere distruttivo. Tuttavia, il rapporto tra danni riportati ed energia rilasciata nel corso degli eventi sismici è molto elevato e ciò è dovuto principalmente alla notevole vulnerabilità del nostro patrimonio edilizio e all’elevata densità abitativa.
L’elevata vulnerabilità sismica del nostro Paese è evidenziata dal fatto che circa il 75% del nostro patrimonio edilizio è stato realizzato in assenza di normative antisismiche prima del 1974, anno corrispondente alla prima legge nazionale specifica in merito di costruzioni antisismiche, ed ha trovato applicazione a livello nazionale solo tra il 1981 e il 1984. Ciò non significa necessariamente che gli edifici esistenti non siano sicuri, ma è evidente la vetustà che li caratterizza, nonché il mancato rispetto di regole di progettazione antisismica.
L’esposizione del territorio italiano, infine, è molto alta dal momento che il nostro Paese ha la densità abitativa più alta d'Europa, con picchi record a livello mondiale, con un patrimonio storico, artistico e monumentale incomparabile, per cui i beni e le persone esposte al sisma sono ingenti.
L’elevato rischio sismico comporta che i costi diretti e indiretti attesi a seguito di un terremoto, oltre al dolorosissimo carico di vittime, siano particolarmente gravosi per le finanze pubbliche e rappresentino quindi un onere “straordinario” che grava periodicamente sull'economia delle aree colpite e direttamente su tutto il territorio nazionale. Oltre a mietere vittime e danneggiare gli edifici, i terremoti disastrosi incidono profondamente anche su tutte le dinamiche sociali ed economiche dei territori colpiti, con pesanti e diffusi riflessi economici negativi che si protraggono per decenni nel tempo.
I possibili interventi per ridurre il rischio sismico
Sulla base delle considerazioni appena fatte risulta imprescindibile e improrogabile affrontare il problema del rischio sismico del nostro Paese e mirare ad una sua drastica riduzione. Ma come agire efficacemente per ridurre il rischio sismico?
Essendo una caratteristica propria del sito, poco si può fare sulla pericolosità, se non affinando sempre di più la classificazione sismica del territorio nazionale in modo da migliorare la conoscenza del territorio, offrendo la possibilità di prediligere per le nuove urbanizzazioni le aree meno a rischio.
Marginali sono anche gli interventi possibili relativi alla riduzione dell’esposizione. Opzioni percorribili sono ad esempio quella di declassare immobili particolarmente vulnerabili caratterizzati da affollamenti significativi (scuole, uffici pubblici), dislocando in edifici più sicuri tali servizi. Tuttavia anche questa strada non fornisce una soluzione efficace al problema.
La riduzione della vulnerabilità su larga scala, attraverso un’azione sistematica di opere di messa in sicurezza e di miglioramento sismico degli edifici esistenti può invece rappresentare una strategia efficace per la riduzione del rischio sismico su tutto il territorio.
La riduzione della vulnerabilità può essere perseguita attraverso specifici interventi, finalizzati a rimuovere le criticità (elementi di vulnerabilità) della costruzione qualora presenti e/o andando ad aumentare la capacità globale della struttura avendo fissato quelli che sono gli obiettivi da raggiungere, in termini di prestazione sismica.
Intervenire su un edificio: cosa ottenere?
Il primo step per un intervento efficace è un’approfondita conoscenza dell’edificio esistente. Uno studio approfondito è indispensabile per definire lo stato di fatto della struttura, conoscere i materiali, definire gli elementi di vulnerabilità, conoscere il suo livello di sicurezza iniziale e stabilire quale livello di sicurezza raggiungere tramite l’esecuzione delle opere di progetto.
Il livello di sicurezza minimo richiesto ad un edificio è stabilito dalle vigenti Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC) 2018. Tutte le costruzioni realizzate sul territorio nazionale si confrontano con questo standard e le costruzioni esistenti possono avere un livello di sicurezza pari a quello previsto dalle norme tecniche per i nuovi edifici, o solitamente inferiore, con riduzioni spesso proporzionali all'età dell'edificio stesso. Assumendo il livello di sicurezza minimo di un edificio progettato con i moderni standard normativi pari a 1, l’edificio esistente avrà un valore di sicurezza compreso tra 0 e 1.
L’obiettivo degli interventi di progetto è quello di innalzare tale livello di sicurezza (Figura 2) e seguendo questa logica, le normative classificano gli interventi sulle costruzioni esistenti in tre categorie:
Interventi di adeguamento , che permettono di raggiungere il livello di sicurezza di un edificio nuovo (pari o superiore a 1) previsto dalle norme vigenti;
, che permettono di raggiungere il livello di sicurezza di un edificio nuovo (pari o superiore a 1) previsto dalle norme vigenti; Interventi di miglioramento , che incrementano il livello di sicurezza dell’edificio, pur mantenendolo al di sotto dell’unità, cioè senza raggiungere quella minima per le nuove costruzioni;
, che incrementano il livello di sicurezza dell’edificio, pur mantenendolo al di sotto dell’unità, cioè senza raggiungere quella minima per le nuove costruzioni; Riparazioni o interventi locali, che interessano in genere elementi isolati e che comunque comportano un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti localmente.
Da qui si apre il vastissimo mondo degli interventi possibili, dei materiali e delle tecnologie disponibili. Gli interventi sugli edifici esistenti sono molteplici, come molteplici sono le tipologie costruttive e le carenze strutturali che ogni edificio può presentare. L’eterogeneità e l’estrema varietà del patrimonio edilizio italiano, non consentono di stabilire una corrispondenza biunivoca tra carenza strutturale e intervento da eseguire. Diventa quindi impossibile fare una descrizione esauriente ed esaustiva di tutte le tecnologie esistenti.
Nel seguito del presente documento, il tentativo è quello di illustrare una panoramica delle principali strategie di intervento includendo le strategie più diffuse e alcuni interventi innovativi e che si sono dimostrati particolarmente efficaci per l’adeguamento/miglioramento di edifici in cemento armato (c.a.). È inoltre importante evidenziare che, sebbene esistano soluzioni efficaci ed economiche, in alcune situazioni è necessario effettuare un’attenta valutazione dell’opzione demolizione/ricostruzione.
Figura 2 - Miglioramento e adeguamento sismico.
Criteri di progettazione antisismica
Per comprendere quali sono le carenze di un edificio esistente e individuare l’intervento più adatto da eseguire, è necessario definire quali sono i criteri necessari ad un buon comportamento antisismico. Il mancato rispetto di tali caratteristiche consente di individuare le vulnerabilità tipiche delle strutture esistenti.
Le norme tecniche del nostro Paese sono state profondamente innovate a partire dalla pubblicazione dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (OPCM) 3274 del 2003, la successiva emanazione delle NTC 2008 e le attuali NTC2018. Tali norme sono allineate con il sistema di normative europee, e con i criteri di progetto utilizzati nei paesi a più alta pericolosità sismica al mondo.
I criteri di progettazione antisismica moderni si basano sull’idea che, essendo i terremoti di forte intensità molto rari, la struttura può essere progettata in modo tale che, in tali eventi, subisca danneggiamenti anche importanti, purché venga mantenuta la sua capacità di sopportare i carichi verticali e quindi non si verifichino fenomeni di instabilità globale e quindi il collasso. Il comportamento globale della struttura è quindi valutato sulla base di diversi livelli di prestazione corrispondenti a diversi livelli di intensità sismica attesa. Semplificando, si può dire che eventi sismici con intensità maggiori producono spostamenti della struttura più elevati, è quindi possibile definire i livelli di prestazione che la struttura, nella sua globalità, deve soddisfare al crescere dell’intensità del sisma, correlandoli a precisi valori dello spostamento come riportato schematicamente in Figura 3.
In Figura 3 si possono identificare i diversi livelli di prestazione tra due situazioni estreme:
per sismi frequenti , caratterizzati da un’intensità sismiche bassa, la struttura viene progettata in modo da avere una rigidezza adeguata a subire spostamenti ridotti e danneggiamenti limitati;
, caratterizzati da un’intensità sismiche bassa, la struttura viene progettata in modo da avere una rigidezza adeguata a subire spostamenti ridotti e danneggiamenti limitati; per sismi rari, caratterizzati da intensità sismica elevata, si accetta che la struttura possa danneggiarsi anche gravemente, sempre senza collassare.
Il comportamento di una struttura, sotto l’effetto di una azione sismica, può essere sintetizzato facendo riferimento a tre grandezza fondamentali:
la resistenza , definibile, semplificando, come la massima forza che la struttura può sopportare rimanendo approssimativamente in campo elastico;
, definibile, semplificando, come la massima forza che la struttura può sopportare rimanendo approssimativamente in campo elastico; la rigidezza , che esprime la relazione tra carichi e spostamenti dell’intera struttura in campo elastico;
, che esprime la relazione tra carichi e spostamenti dell’intera struttura in campo elastico; la duttilità, che indica la capacità della struttura di deformarsi in campo post-elastico ed è strettamente correlata con la sua capacità di dissipare energia
Figura 3 - Performance-Based Design.
Il requisito di duttilità strutturale è proprio della moderna filosofia di progetto e deve essere soddisfatto a livello globale (attraverso un adeguato proporzionamento degli elementi strutturali e la regolarità strutturale in pianta e in elevazione) e a livello locale (attraverso il progetto duttile delle sezioni e l’utilizzo di materiali adeguati).
Il comportamento duttile a livello globale della struttura, è garantito dal progetto. L’adeguato proporzionamento degli elementi determina una gerarchia delle modalità di danno, in cui i meccanismi duttili precedono quelli fragili, assegnando una resistenza differenziata ai diversi elementi strutturali, così che la ‘crisi’ di alcuni preceda e quindi prevenga quella di altri. Questi ultimi, ossia quelli da proteggere, sono gli elementi il cui danneggiamento è critico nei confronti del collasso globale della struttura. Un tipico esempio è quello relativo al progetto dei pilastri di un edificio, il cui cedimento viene ritardato garantendo loro una resistenza superiore a quella delle travi che su di essi si innestano. Tale criterio prende il nome di Gerarchia delle Resistenze.
Vulnerabilità tipiche degli edifici esistenti in c.a.
Il comportamento globalmente duttile degli edifici di nuova progettazione non è, in genere, riscontrabile negli edifici esistenti, nei quali si evidenziano carenze ricorrenti dovute a criteri di progettazione privi di accorgimenti antisismici, a modalità di realizzazione e di esecuzione scadenti, soprattutto per quanto riguarda la cura dei dettagli costruttivi, e scarsa qualità dei materiali.
Individuare correttamente le carenze strutturali di un fabbricato è di fondamentale importanza per poter progettare ed eseguire interventi di rinforzo efficaci. Il progettista è chiamato a scegliere quali misure adottare per risolvere le vulnerabilità della costruzione, e tale scelta si deve basare su un attento esame delle caratteristiche della struttura, oltre che su un’accurata analisi costi-benefici.
Gli edifici in c.a. sono spesso caratterizzati dai seguenti elementi di vulnerabilità sismica :
Resistenza globale insufficiente con conseguenti collassi locali o globali; Rigidezza globale insufficiente che comporta eccessive deformazioni degli elementi non strutturali con conseguenti danneggiamenti anche durante sismi frequenti con intensità ridotta; Irregolarità strutturale sia in pianta che in elevazione. Questa influenza notevolmente la risposta sismica di un edificio e può determinare concentrazioni di sollecitazioni o di spostamenti non compatibili con le capacità di resistenza e di rigidezza presenti; Dettagli costruttivi insoddisfacenti con conseguente riduzione della duttilità disponibile. La duttilità locale degli elementi strutturali influenza la duttilità globale dell’edificio; ‘Deviazioni’ nel percorso dei carichi possono determinare il malfunzionamento del sistema globale. In presenza di disallineamenti di travi o colonne (e.g., pilastri in falso), viene a mancare la continuità dei percorsi di carico generando zone ‘critiche’ nella struttura (e.g., travi corte); Giunti di ampiezza insufficiente e tali da produrre fenomeni di martellamento tra edifici adiacenti; Degrado delle caratteristiche meccaniche dei materiali costruttivi.
Tabella 1, Tabella 2 e Tabella 3 identificano i principali elementi di vulnerabilità per le diverse tipologie strutturali degli edifici in c.a.. Tali tabelle hanno uno scopo puramente esemplificativo e non possono sostituire la valutazione del professionista, tuttavia offrono un’utile chiave di lettura attraverso cui osservare gli edifici e poter riconoscere le principali carenze strutturali.
Tabella 1 – Principali elementi di vulnerabilità per edifici in c.a. con struttura a telaio.
Tabella 2 - Principali elementi di vulnerabilità per edifici in c.a. con struttura a pareti.
Tabella 3 – Principali elementi di vulnerabilità per edifici in c.a. con struttura a telai tamponati.
Interventi: Approcci progettuali
Classificare gli interventi sismici è un lavoro non semplice in quanto, la maggior parte degli interventi va a modificare il comportamento sismico della struttura sotto più aspetti contemporaneamente. Classificazioni precedenti hanno suddiviso gli interventi come locali o globali, come tradizionali o innovativi, in base alla tipologia strutturale analizzata, in base ai materiali utilizzati, ecc. Non esiste un modo univoco per effettuare tale classificazione, tuttavia questa è indispensabile per offrire un quadro chiaro degli interventi possibili. Nel presente documento, con questa consapevolezza, il tentativo è quello di classificare gli interventi sulla base dei principali effetti prodotti.
Le verifiche sismiche sono effettuate dal confronto della domanda di prestazione dovuta all’input sismico, cioè gli effetti sulla struttura derivanti dal terremoto forze e spostamenti), con la capacità della struttura di resistere a tali forze, o assecondare tali spostamenti, senza subire danneggiamenti eccessivi. Dal confronto tra domanda e capacità è possibile stabilire se il sistema è, o meno, in grado di fronteggiare l’evento sismico di progetto. La capacità di un edificio dipende dalle sue riserve di resistenza e di deformazione, le quali derivano dalle capacità dei singoli componenti, dalla loro organizzazione e dal loro proporzionamento e descrive le prestazioni della struttura indipendentemente dalla domanda sismica. La domanda di prestazione è invece stabilita dalla normativa in termini di richieste di forza (proporzionali alle accelerazioni) e di spostamento accelerazione e sposamento spettrale).
L’accelerazione spettrale e spostamento spettrale possono essere rappresentati nello stesso piano ADRS - Acceleration Displacement Response Spectrum) come mostrato in Figura 4. Applicando le dovute trasformazioni, anche la curva di capacità può essere riportata su questo piano e tale operazione offre una rappresentazione efficace per valutare l’adeguatezza della struttura. L’escursione in campo plastico della struttura contribuisce a dissipare l’energia di ingresso del sisma e questo consente di definire una curva di domanda ridotta, funzione della duttilità della struttura, da confrontare con la curva di capacità.
In base a tale confronto, la struttura risulta adeguata a sopportare le accelerazioni e gli spostamenti richiesti dall’input sismico solo se la Curva di Capacità ‘incontra’ la Curva di Domanda. Inoltre, tale confronto consente di individuare in modo agevole gli interventi necessari.
Considerando la situazione in Figura 4, la struttura non ha la capacità necessaria per soddisfare la domanda e affinchè le due curve si ‘incontrino’ si può agire da un lato aumentando la capacità del sistema e dall’altro riducendo la domanda di prestazione.
Figura 4 - Confronto tra Curva di Capacità e Curva di Domanda nel piano ADRS.
L’aumento di capacità può essere effettuato in due ‘direzioni’ così come rappresentato in Figura 5:
aumentando il valore dell’accelerazione massima sopportata, aumentando la resistenza del sistema;
aumentando la duttilità della struttura, cioè allungando il tratto orizzontale della curva. In tal caso si ha un duplice effetto in quanto tale incremento di duttilità comporta un incremento dell’energia dissipata, e quindi una contemporanea riduzione della domanda.
La riduzione della domanda, rappresentata in Figura 6,può essere effettuata:
riducendo l’energia in ingresso;
incrementando la dissipazione di energia.
Sulla base di questa interpretazione è possibile operare una classificazione degli interventi, distinguendo tra interventi che mirano ad incrementare la capacità ed interventi che mirano a ridurre la domanda.
Figura 5 - Strategie per aumentare la capacità del sistema.
Figura 6 - Riduzione della domanda di prestazione.
Al primo gruppo appartengono tutti gli interventi più tradizionali, quali ad esempio: l’introduzione di setti in c.a. che aumentano la rigidezza e la resistenza della struttura; l’incremento delle sezioni ed il ripristino delle armature nelle strutture in c.a.; l’introduzione di diagonali di controvento, ecc.
Tra gli interventi che riducono la domanda, invece, si possono citare ad esempio: l’isolamento alla base, che disaccoppia il moto del terreno da quello della struttura riducendo la rigidezza complessiva del sistema (in modo semplicistico può essere pensato come mettere i pattini alla struttura) e l’adozione di dispositivi atti a dissipare l’energia del sisma.
Va chiarito comunque che in molti casi gli interventi raggiungono il risultato tramite una combinazione di questi effetti. A titolo esemplificativo, l’incremento di duttilità di una struttura può essere raggiunto aumentando la duttilità dei suoi elementi, tali opere generalmente ne accrescono anche la resistenza e spesso anche la rigidezza. In questo documento gli interventi vengono individuati e descritti sulla base del principale tra gli effetti raggiunti.
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